THE ITALIAN JOB – Il Basket in Italia

E dopo aver parlato per mesi di campioni, squadre, aneddoti del basket americano, slavo, russo o comunque europeo… eccoci, con questa penultima puntata di Memories a “sbarcare” in Italia.

Impossibile raccontare l’intera storia della pallacanestro italiana in un solo episodio e forse sarebbe scontato passare semplicemente per le grandi dinastie, anche lungo lo Stivale, dalle Scarpette Rosse di Milano, alla Varese anni ’70 o alla Virtus Bologna.

Crediamo invece più interessante una panoramica generale, specie sulle origini, o su quegli aspetti più sconosciuti, o meno noti, anche agli appassionati.

 

Cominciamo dall’inizio e cominciamo da una “sorpresa”.

L’arrivo e la prima diffusione del nostro gioco in Italia è a fortissime tinte rosa. E’ il basket femminile infatti ad aver interpretato il ruolo di apripista, oltre un secolo fa.

Siamo a inizio del ‘900, più precisamente nel 1907, quando tutto nasce, a Siena. L’istruttrice Ida Nomi Venerosi Pesciolini, traduce il primo regolamento di Naismith, ne approfondisce le dinamiche e inizia a fare un primo proselitismo sportivo sul nuovo gioco sulle allieve della Mens Sana. Per l’assenza, o la scarsissima presenza di contatto, in quella prima stesura regolamentare del basket, la disciplina pare infatti particolarmente adatta alle “signorine”. La pratica è molto più simile a un esercizio ginnico di coordinazione e grazia, tanto che le ragazze della Mens Sana, secondo lo stile dell’epoca, si esercitano in divisa da marinarette, con una gonna blu e una blusa immacolata.

In occasione del Concorso Ginnastico Nazionale del 1907, allo stadio militare di Venezia, avviene la prima esibizione pubblica, che nel suo “titolo” riassume quell’embrionale sviluppo del basket, “palla al cerchio, gioco ginnastico per giovinette”. Per i primi anni la pallacanestro, anzi palla al cerchio, rimane quindi poco più che una disciplina quasi artistica, lontana dal “clima partita”, ma intanto il primo seme è piantato e si cominciano ad intuire le potenzialità di quello sport.

Nel 1910 è il professor Guido Graziani che per primo introduce il basket tra gli uomini. Dopo un soggiorno negli USA, alla Niagara University, traduce il regolamento per le Forze Armate, ma sono proprio gli americani a fare da ambasciatori e contribuire ad una prima sua vera diffusione, in Europa, poi in Italia, qualche anno dopo.

L’occasione è drammatica, ovvero lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e l’intervento degli Stati Uniti nel conflitto. A cominciare dalla Francia, dove i contingenti USA sono più numerosi, i soldati introducono alle regole e ai fondamentali i propri colleghi alleati, dando via a un primo impulso promozionale del nuovo gioco. Appena cessate le ostilità, sempre in Francia, il basket cresce a maggiore velocità grazie anche alla presenza a Parigi, con incarico della YMCA, proprio dell’inventore del gioco, Naismith.

E’ lui che, dopo l’aggiornamento e riunificazione di un unico regolamento nel 1915, riesce a imporre la disciplina alle “Olimpiadi militari alleate”, a Joinville Le Pont, nel 1919. Al torneo, con gli USA e i francesi, ci siamo anche noi, i nostri militari, che hanno assorbito nel periodo bellico i primi rudimenti e la passione per il gioco. Nel triangolare ovviamente sono gli statunitensi a dominare, ma l’Italia supera i francesi 15 a 11, in quello che potremmo definire come primo match internazionale – europeo, e si piazza seconda.

 

Di qualche mese prima, nel giungo 1919, è invece la prima partita ufficiale di basket in Italia. Il contesto e il pubblico sono quelli delle grandi occasioni: Arena di Milano, oltre 30.000 spettatori. Si sfidano la Compagnia Automobilisti di Monza e gli Avieri della Malpensa, secondo tradizione “militare” degli albori dello sport, e la gara termina con un equilibrato 11 a 11, punteggio di parità all’epoca consentito.

La realtà è un po’ diversa da quanto potrebbe sembrare.

Nulla di falso, nella cronaca, intendiamoci. Ma occorre sottolineare che quel match fa parte di una sorta di programma di intrattenimento in calendario quel giorno per l’arrivo dell’ultima tappa del Giro d’Italia, proprio all’Arena, con decine di migliaia di tifosi in attesa di veder spuntare la maglia rosa di Girardengo.

Un’ottima occasione, comunque lungimirante, per promuovere la pallacanestro.

 

Negli anni successivi, i soldati americani continuano a “diffondere il verbo”, prima nelle Repubbliche Baltiche, che subito si innamorano del basket, lo fanno proprio sport nazionale e domineranno, negli anni successivi a livello continentale, poi dal 1920 in Russia. Qui, a Leningrado, sono proprio i marinai Lituani e Lettoni a farsi da ambasciatori danno vita alla prima partita in terra russa che subito appassiona i sovietici, fino a farli poi divenire nel tempo seconda forza mondiale della pallacanestro, e dominatori assoluti in campo femminile.

 

E in Italia?

Dopo quella prima partita a contorno del ciclismo, la pallacanestro guadagna sempre più simpatie e soprattutto praticanti. Si gioca generalmente all’aperto, spesso su terra battuta, ma l’intuitività del gioco, il numero basso di giocatori da reclutare e i costi accessibili per mettere in piedi un campo di gioco, sono ottime ragioni, nei tempi duri del primo dopoguerra, per avvicinare le persone al nostro sport. Già nel 1921 viene infatti fondata la Federazione Italiana Basketball, e solo un anno dopo inizia il primo campionato a livello nazionale.

Diventa primo campione italiano di basket, 1922, la ASSI Milano.

E mentre nel 1924, la pallacanestro viene promossa come disciplina dimostrativa alle Olimpiadi di Parigi, in Italia parte anche il primo campionato nazionale femminile, con le ragazze del Club Atletico Torino a fregiarsi dello scudetto.

 

Con l’avvento del fascismo in Italia, e di altri regimi nazionalistici in Europa, la pallacanestro a livello continentale subisce un processo di autonomia tecnica diffusa, nel senso che si evolve con dinamiche proprie sempre più distanti, anche dal punto di vista delle regole, rispetto agli USA.

Per far fronte a questa “diaspora”, che rischia di incidere sullo sviluppo globale del basket e allargare il già evidente gap tecnico con gli USA, dove il basket cresce a ritmo esponenziale, nel 1927 lo Springfield College e lo YMCA Mondiale istituiscono a Ginevra, in territorio “neutrale”, la Scuola Internazionale di Educazione Fisica, che diviene centro propulsore per la diffusione della disciplina, specie quando, al Café de la Bourse, centro della vita a spicchi Svizzera, viene fondata la Amateur Basketball Association of Switzerland, primo embrione FIBA.

 

Nella stagione 1925/1926: in Italia la FIB si trasforma in Federazione Italiana Palla Al Cerchio, per ovvie ragioni autarchiche. Nasce anche ufficialmente la Nazionale, che esordisce il 4 aprile 1926, a Milano, contro i “soliti” Francesi vincendo 23 a 17.

La pallacanestro nazionale vive un breve periodo di crescita, poi entra in cresi: nel 1929 la Federazione subisce una prima gestione commissariale, poi viene affiliata alla Federazione Ginnastica trasformandosi in FIPAC (Federazione Italiana di Palla a Canestro).

Nel maggio del 1930 inizia il lento ma proficuo lavoro tecnico e politico per restituire indipendenza al basket in Italia, dove la Federazione torna gradualmente all’autonomia e assumerà il nome attuale di FIP, e renderlo sempre più omologo a livello internazionale.

Tra i promotori, William Renato Jones, inglese cresciuto però come studente a Springfield, ed esponente dell’Associazione sorta a Ginevra, che porta la nazionale svizzera a Roma per un incontro contro l’Italia (36 a 13 per gli azzurri), ma soprattutto imbastisce un’asse di sviluppo con Aldo Nardi, uomo di riferimento della pallacanestro italiana e grande appassionato. I due si mettono subito all’opera, il basket trae nuovo entusiasmo, diffusione, si crea una sorta di movimento, e a distanza di solo un anno, a fine 1931, con l’elezione di Asinari alla Presidenza FIP, parte quel processo virtuoso, che supera i confini della politica, dei regimi, delle guerre, imponendo la pallacanestro come “linguaggio” universale.

E’ proprio Asinari, sempre in stretta collaborazione con Jones, a rendere possibile la fondazione e la crescita della FIBA: è il 18 giugno 1932, quando nasce ufficialmente la Federazione Internazionale che riunisce quelle europee e viene deciso, per l’importanza del lavoro svolto e del movimento che rappresenta, che sia proprio l’Italia, a Roma, ad ospitarne la sede.

 

Da quel giorno, l’accelerazione del basket continentale, con capofila l’Italia, è forte: nel1933 entra nel programma dei Giochi Universitari a Torino, nel 1934 viene prodotto dalla FIBA il nuovo Regolamento Tecnico unificato, nel 1935 il CIO, che fino ad allora considera la FIBA una movimento dissidente e autonomo, inserisce il basket nel programma dei Giochi di Berlino, del 1936, nel cui contesto tocca all’ormai settantacinquenne Naismith alzare la prima palla a due della storia della pallacanestro olimpica.

Nel frattempo, la FIBA organizza anche i primi campionati europei maschili, a Ginevra, vinti dalla Lettonia.

E’ un successo inarrestabile, il basket si diffonde rapidamente, in Europa e in particolare in Italia, imponendosi come sport del futuro.

Poi, arriva la Seconda Guerra Mondiale. A sconvolgere tutto, un intero pianeta.

Ma paradossalmente, come già avvenuto nel primo conflitto, in quegli anni tragici la pallacanestro trae il beneficio di un’ancor maggiore globalizzazione, grazie alle truppe americane, dislocate in mezzo mondo, che si fanno promotrici della disciplina e propagatrici della passione per la palla a spicchi.

 

Dopo, tutto cambia.

Entriamo nell’era moderna, quella che nel Mondo, in Europa, in Italia, porta al basket attuale.

Certo, specie da noi, i primi decenni, con un paese intero da ricostruire, anche la pallacanestro passa per un processo di crescita graduale, talvolta, affannata o improvvisata. Ma l’entusiasmo, per la vita e lo sport, sono un carburante eccezionale, che spinge sempre più la diffusione della disciplina in tutte le regioni, con piazze che diventano capitali nazionali e internazionali della pallacanestro e in cui la passione diventa mania. Oltre alla storica Milano, Venezia, Bologna, Varese… sono centri in cui il basket emerge, spesso supera anche il calcio, nei cuori e nell’interesse del pubblico, fino al vero e proprio boom economico e tecnico degli anni ’70, in cui le squadre e le città italiane sono tra le primissime in Europa, contro i giganti sovietici e l’emergente movimento jugoslavo.

 

Come detto, inutile ripercorrere l’albo d’oro italiano, analizzare il Simmenthal, l’IGNIS, ricordare l’epopea Virtus, ecc.

Quello che invece preme sottolineare è come, in Italia più ancora che altrove, la pallacanestro si sia di fatto fatta promotrice dello sport di base, capace di radicarsi nella pratica e nell’interesse collettivo, in maniera capillare.

Se il calcio è di certo lo sport più seguito, ricco e diffuso, il basket ha saputo affiancare alle metropoli le province, talvolta piccoli centri divenuti capitali di riferimento del movimento. Da Pesaro a Cantù, da Caserta a Siena, a Sassari, la storia della pallacanestro italiana di vertice passa per queste piazze, che insieme a quelle storiche, sono paradigma di quanto e più profondamente (e anche “democraticamente”…) il nostro gioco abbia saputo consolidarsi e avvicinare proprio tutti.

Anche a livello dirigenziale, organizzativo e tecnico, l’Italia ha sempre avuto un ruolo di primo piano, anche superiore ai pur buoni risultati agonistici ottenuti da club e nazionale. E molto di questo, è merito di dirigenti e menti brillanti che hanno saputo farne movimento realmente nazionale.

Infine, se proprio vogliamo fare un po’ di saggistica spiccia, o mettere un segno d’inizio preciso all’effettiva esplosione del basket moderno italiano, raccontarne l’evoluzione, il percorso, i successi… beh… .

Allora giusto affidarsi a un estratto della perfetta sintesi di Stefano Dari, autore de “Le origini del basket italiano”.

 

Nel 1960 Paratore guida gli azzurri alle Olimpiadi di Roma. E’ in questo anno che storicamente ha inizio la grande evoluzione del basket italiano.

I Giochi Olimpici dotano Roma di grandi impianti, il Palazzetto dello Sport e il Palazzo dello Sport, 17.000 spettatori.

Vincono ovviamente gli statunitensi: Oscar Robertson, Walt Bellamy, Jerry Lucas, ed ancora West, Imhoff, Dischingerin.

L’Italia cede 54 a 88 a quello squadrone: basti pensare che il più lungo era Calebotta, 2.04, un dalmata (era nato a Spalato) di origine albanese discendente addirittura di un re, Skanderberg. L’Italia è quarta, fa scoprire al grande pubblico l’esistenza di uno sport appassionante com’è il basket.

Tuttavia bisogna attendere il 1965 per una nuova svolta storica. A Scuri succede alla presidenza federale Claudio Coccia. Viene autorizzato il tesseramento di uno straniero per squadra e, tra gli altri, giunge a Padova Douglas Moe. Lo allena Asa Nikolic. Moe è il top scorer del campionato (674 punti, 30,6 di media).

In quegli anni Riminucci realizza un’impresa eccezionale: 77 punti in una sola partita.
Nel 1965 viene introdotto anche il minibasket.

Nel 1966 giunge Bill Bradley: ha una borsa di studio per Oxford. Prima di affrontare l’avventura nella NBA con i Knickerbockers, porta il Simmenthal Milano di Cesare Rubini e Sandro Gamba (non a caso il responsabile del settore azzurro e il coach delle imprese più belle della Nazionale tra il 1980 e il 1985) alla conquista della Coppa dei Campioni, un titolo europeo per club che la squadra milanese strappa nella finale di Bologna allo Slavia Praga dopo avere eliminato il glorioso Real Madrid di Luyk che già da qualche anno aveva infranto il tradizionale predominio sovietico.
I grandi campioni americani determinano il reale decollo del basket in Italia. Sono grandi personaggi, ricchi di spessore umano oltre che di grande abilità tecnica. Il basket di club, con l’aiuto degli americani, si avvia a dominare in Europa.

Nel 1969 a Paratore subentra Giancarlo Primo alla guida della Nazionale. È lui dunque a firmare i primi successi del basket azzurro che si impone come terza forza continentale alle spalle di Urss e Jugoslavia che può contare su grandissimi campioni come Djuric, Korac, Skansi prima e Kicanovic, Dalipagic, Delibasic, Jerkov e Slavnic poi.

Nel 1970 la Nazionale ottiene il primo grande successo a Lubiana battendo, nei Campionati del Mondo, per la prima volta gli USA forti di Bill Walton e di Tal Brody che avrebbe poi scelto di vivere e giocare in Israele.

L’Ignis Varese, che scopre Dino Meneghin, raggiunge per dieci volte consecutive (allenata da Nikolic prima e da Gamba, Nicola Messina e Rusconi poi) la finale di Coppa dei Campioni vincendola cinque volte.

Il 1971 vede la Nazionale tornare a medaglia nei Campionati Europei ad Essen.

Nel 1974 la Nazionale femminile vince il bronzo a Cagliari e il basket italiano cambia volto.

Per primo in Europa ed anche in Italia, tra gli altri sport di squadra, guarda decisamente agli USA ed alla NBA introducendo la formula altamente spettacolare dei play off. Il successo è immediato. Aumenta il livello tecnico del gioco ed esplode l’interesse del pubblico. Il basket si avvia a diventare realmente disciplina all’avanguardia, sempre attenta ai gusti della gente e ad appropriarsi delle novità più stimolanti. Il provvedimento è coraggioso. Amplia il massimo campionato ed inserisce d’ufficio le città più grandi cercando di portare il basket di elite in maniera uniforme in tutto il Paese. La pallacanestro si avvia a diventare metropolitana, anche se il processo è ancora lungo e si realizzerà solo dieci anni più tardi con il ritorno di Milano (che aveva monopolizzato gli anni cinquanta e sessanta) e Roma (forte negli anni trenta) ai vertici scoprendo piazze entusiaste, serbatoi inesauribili di pubblico, soprattutto il nuovo massiccio interesse dei mass media.

Nel 1975 a Belgrado, la Nazionale è medagliata nei Campionati Europei e soprattutto batte per la prima volta gli USA a casa loro nel 1975 a Providence (79 a 75 contro una squadra che comprendeva Lee, Hasset, Grunfeld, La Garde, Rollins e Parish). Nel frattempo l’evoluzione del basket si consolida sotto la presidenza di Enrico Vinci che succede a Coccia.

Nel 1976, dopo la delusione di Città del Messico (ottavi con Paratore) e la beffa di Monaco (quarti, bronzo perso di un punto contro Cuba nell’Olimpiade vinta per la prima volta dall’Urss in maniera rocambolesca e assai discussa), la Nazionale giunge quinta a Montreal dopo aver perduto la qualificazione per le finali, ancora di un punto. Nello stesso anno la Nazionale supera, per la prima volta nella sua storia, l’Urss a Roseto.

E’ il 1977 e l’Italia batte l’Urss in una competizione ufficiale a Liegi.

Nel 1978 perde, nuovamente di un punto, il bronzo ai Mondiali di Manila cedendo al Brasile per un canestro di Marcel ad un secondo dalla fine. Lo stesso Marcel giocherà poi in Italia.

Dopo Montreal, il basket accetta due stranieri per squadra. Giungono grandi campioni. Alcuni di grande prestigio e di illustre passato: Haywood, Wright, Gianelli, Brewer, Landsberger e Bob McAdoo, gente che ha vinto il campionato della NBA. Ex campioni olimpici come Lagarde, Sheppard, Scott May, e ancora Chones, Bantom, Jeelani, Shelton, Steve Hawes, Tom McMillen, Javaroni, Laimbeer, Reggie Johnson, Owens, J.B. Carroll, Nater, Bryant e George Gervin.
Grandissimi giocatori, non tutti al termine della carriera, che segnano il definitivo decollo del basket italiano.

Vinci dà alla Federazione un’impronta di stampo manageriale, all’avanguardia in Italia e in Europa. E’ la Segreteria (Petrucci prima, poi Massimo Ceccotti) a realizzarla, a decentrare funzioni, a snellire il complesso apparato burocratico, a gestire il basket come una moderna azienda di successo.

La Lega di Serie A presieduta addirittura da un Ministro, l’On. Gianni De Michelis, cerca contatti con la NBA, lo “spaghetti circuit” trova credibilità e ascolto anche negli USA, l’esperienza del basket di vertice italiano segna una traccia per l’evoluzione del basket europeo.

E giungono infine anche i risultati di rilievo. Alle Olimpiadi del 1980 l’Italia batte i sovietici in casa loro a Mosca e conquista la medaglia d’argento olimpica alle spalle di una grandissima Jugoslavia. La risonanza dell’evento è enorme.

Nel 1983 la Nazionale di Gamba conquista a Nantes per la prima volta il titolo di Campione d’Europa.

Questa vittoria apre scenari diversi per il basket italiano che vive negli anni ’80 il suo momento magico. Con i successi delle squadre di club nelle competizioni internazionali (Milano, Roma e Cantù in primis) e una sempre crescente popolarità televisiva, il numero di iscritti aumenta e con gli investimenti di molti gruppi economici arrivano in Italia “star” di prima grandezza. Per tutto il decennio ogni squadra del campionato schiera due giocatori stranieri di altissimo livello provenienti dall’NBA (ad esempio Mc Adoo, Richardson, Joe Barry Carrol…) e anche dalla ex-Jugoslavia (Dalipagic su tutti) o da altre parti del mondo (Oscar Schmidt).

Gli anni ’90 iniziano scorrono via nel segno dell’austerity per molte piazze storiche: unica eccezione Bologna che porta le due società Virtus e Fortitudo ai vertici italiani prima ed europei dopo. Storica la doppietta della Virtus targata Kinder nel 1998 quando vinse l’Eurolega a Barcellona in finale sull’Aek Atene e lo scudetto in una serie di 5 straordinarie partite nella stracittadina con la Fortitudo targata Teamsystem. Gara-5 sarà inevitabilmente segnata dal più grande giocatore del decennio italiano: la guardia serba Predrag “Sasha” Danilovic. Con 8 secondi da giocare e con la Virtus sotto di 4 punti, Danilovic mette a segno una giocata incredibile realizzando un gioco da 4 punti (canestro da 3 più fallo di Dominique Wilkins) che porta le sorti del match in parità. Sul capovolgimento di fronte il play della Fortitudo David Rivers perde la palla e consegna le sorti della finale in un overtime in cui la Virtus domina un’avversaria “crollata” di testa. Lo stesso Danilovic in conferenza stampa pronuncerà una frase rimasta nella storia del basket: “IO PUO’!”

Il decennio italiano si chiude con uno straordinario successo della nazionale allenata dal serbo-bosniaco Bogdan Tanjievic agli europei di Parigi, un’edizione che consegna alla storia del basket giocatori azzurri di altissimo livello come Gregor Fucka e Carlton Myers.

Non meno denso di soddisfazione è l’inizio del terzo millennio per i colori azzurri con la conquista di un bronzo Europeo (2003) e di un argento olimpico (2004) per un nazionale allenata da Carlo Recalcati che, pur priva di stelle di prima grandezza fa dell’intensità e della determinazione mentale le proprie armi.

L’ultimo alloro europeo di club viene conquistato dalla Virtus di Ettore Messina, considerato unanimemente il più grande allenatore italiano degli ultimi 10 anni, che nel 2001 mette a segno una triplice vittoria conquistando lo scudetto, l’Eurolega e la coppa Italia.

E adesso si aprono nuove frontiere per chi lavora in questo sport.

La scuola tecnica italiana è cresciuta notevolmente dalla fine degli anni ’90 e sono molti gli allenatori “esportati” per insegnare basket in tutta Europa. Oltre al già citato Messina merita ricordare Sergio Scariolo, da anni in Spagna e Andrea Mazzon che in Grecia ha fatto molto bene.

Nel 2006 Andrea Bargnani, ala romana della Benetton Treviso è stato scelto come numero-1 assoluto dai Toronto Raptors al draft NBA e nel 2007 è stato raggiunto da Marco Belinelli, guardia della Fortitudo Bologna, scelto con il numero 18 dai Golden State Warriors.

L’Italian style è evidentemente molto apprezzato anche al di là dell’oceano”.

 

Che dire di più o meglio?

Nulla.

Se non che noi malati di palla a spicchi tricolore, che talvolta ci sentiamo un po’ isolati, o in un momento di calo del movimento, dell’interesse, della presenza della nostra passione sugli schermi tv… .

Dobbiamo sempre ricordarci la nostra storia.

Nel Basket.

Il nostro contributo.

Al basket.

The Italian Job.